Così che io possa
Prefazione di Rosetta Romano


       …Tu non sei più che un ricordo
       sei trapassata nella mia memoria
       ora sì, che posso dire, che m’appartieni
       che qualcosa tra noi è accaduto
       irrevocabilmente… (V. Cardarelli)

Riverberi di sensazioni nel proiettarsi dell’agiatezza compositiva mobilitano reperti della memoria ed immanenze incalzanti, gemono in dissonanze, spezzano i sigilli, tendono all’analisi della coscienza.

E’ nell’impatto il doppio movimento, dall’oscurità alla chiarezza, dalla agnizione del “profondo” all’inganno del riscatto. Per cui una lettura di queste liriche va ricondotta su un doppio asse: atemporale (apertura all’eternità in senso esistentivo, degli affetti, in senso metafisico, della empatia cosmica).
Tempo (appannaggio dei sentimenti, vacuità dell’erranza, ricerca del punto di forza per ricostruirsi nell’archetipo); cogenza vitale rimozione riparatoria che, nella codifica imago poietica rimandano alle ortogonali presenza assenza (il consistere della figlia è nella vacatio).

Anche il presente si riabilita come memoria. Asciuttezza ridondanza essenzialità del passato, rigore formale, necessità e teatralizzazione del presente. Strumento linguistico ne è la metafora quando la figurazione non la sovrasta per occultare lo smarrimento del non riconoscersi come realtà presente.

Si decompone e ricompone allora una irrealtà “sensibile” muta all’ascolto della mente e vocata al silenzio; (“silenzi parlanti”… “fra tanto silenzio”… “silenzio loquace – ascolto”… ”nel dipanarsi del silenzio troverò l’afflato e canterò con l’anima”).

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Libroitaliano - Editrice Letteraria Internazionale - anno 1995 - In copertina illustrazione di Olga Macaluso

cosiPossa

Aeroplanino di carta
       pagina del mio diario
vestita di sensazioni profumata di mirtilli
raccolti nei calanchi
là dove regna la bruma
ti ho lanciato con impeto verso il sole
       ti ho visto ricadere stremato
Odore di muschio e d’antico
….

Padre, se io avessi una sola nota
sentiresti tintinnare cristalli
sulla corda lunga e sottile del tempo
-ingeneroso calice che offre ambrosia
regala ebbrezza e in fretta si consuma-

Vibranti suoni s’innalzerebbero, struggenti,
verso la dimensione dei più dove tu sei,
che io agogno
A questi affiderei pensieri e silenzi parlanti
nell’evolversi di un concerto in sinfonia
che rinnovi e rinsaldi l’amore
       tra le radici della gente mia.
Piccola casa Libia
       adagiata al sole
sul mare d’ erba e ginestre
oasi di aviti sogni nel deserto
Promessa mantenuta di fresche notti
pregne di odori e nomadi nenie
in questo scorcio d’estate
La madre dietro persiane scurite
laboriosa tesse il consueto lavoro
vigile attenta di bimbi crespi capelli
Nella voluttà crepuscolare
da un minareto lontano
giunge l’eco di canti e preghiere
e ridonda sui muri ornati da fiori
rampicanti e nastri alle finestre

Lieto giorno è questo
scorre tra naiadi sorridenti
       Nerepupille canta
Non posso sorridere
       aspettando un treno
con due valige ai piedi, col cuore di rabbia,
con l’anima spenta
con l’anima stanca
tra macchie di carta e vuote lattine di ieri
sui freddi binari stranieri

La gente che arriva, la gente che parte
dai gesti vivaci vestita a profumo e caffé
è una fontana impazzita che scorre nervosa
coperta dal cielo di ferro
in questa giornata piovosa

Non posso sorridere con una valigia per mano
con questo segno sul petto
oltre un muro spinato
bagnato di sangue e dolore,
giullare di un mondo che va in tanto silenzio
       fra tanto clamore.
Quando sei andato via
       stringendo in pugno i tuoi anni leggeri
ero in un soffione pupa senz’ali
a nutrirmi di rugiada e chimere
a rincorrere il sereno

Per l’inatteso partire non un abbraccio
un saluto, un pensiero forse, chissà!

....
Mi manca l’appoggio della tua mano sicura
e quel nostro sentirci uccelli al primo volo
affrancati dal seno della madre
Mi mancano il riso e il pianto
il tonfo della pigna caduta e raccolta
il maggiolino sulla spalla
la farfalla sul camaleonte….
Non mi vedi eppure ci sono
       sul tuo pianoro
raggiunto a fatica

Sono l’aria che ti sfiora il viso
l’odore di resina nel bosco
l’abete Grandibraccia
la farfalla sul camaleonte
Sono la velina per le tue lacrime
l’acqua sorgiva che disseta
il pane fragrante di forno
       per il tuo nuovo giorno
Non mi vedi eppure ci sono
nello sguardo perso che viaggia all’inverso
Sono il soffice piumino che t’avvolge il sonno
la musica che culla il gioco che ti trastulla
il bacio sulla fronte che la febbre infiamma

       Senti la mia presenza?
Come efemera
       dura l’ira tua
Nel breve ciclo dardeggiano gli occhi
e come fiumi erompono dalle labbra
caustiche parole
Nel contorto tuo dire anneghi la dolcezza
e cercano le mani nel vuoto appigli di salvezza
Ti guardo sei bella anche così e t’amo

Paziente
come fragole da torri di frutta parole scelgo
       e te le porgo dolci.
Altrove
       forse in altro lido
potrei attraccare la mia barca

A gomena sicura trovare riparo
da marosi alti come montagne
inaccessibili,
invalicabili anche dal pensiero
ma non voglio poiché se l’essere travolta
da simile tempesta è il mio destino
       è qui, sulla tua spiaggia,
abbarbicata allo scoglio
              che mi fermerò.
Cadono cristalli
       dalle fronde.
Il suono dell’organo che giunge da lontano
ha la voce dello sgomento
Ascolto un frullo e un altro ancora
canta l’allodola, s’addormenta la cincia
e l’anima s’invola dell’ignudo
       sulla neve
Una stella sull’albero si accende
e come cero in chiesa
       ne illumina il volto.
Fuggito dal nido africano
       l’uccello tessitore, piumata meteora,
da tempo i sogni di libertà trascina sull’asfalto
dove invisibili restano le sue orme
e torna col pensiero
ai profondi parlanti segni sulla sabbia

Lo sguardo rivolto oltre questo spazio ristretto
di gente morta che cataloga i colori della pelle
e li segna, orgoglioso si libra.
Barche come valve
       su scafi d’argilla

A bordo macchie di uomini stilizzati
sullo sfondo senza sole
Voci di anime vaganti disperse nell’immenso
vite trafitte dal vento
Crocifissi sospesi tra cielo e mare
in questa tregenda infinita e lì,
lontana lontana,
l’Italia costa di speranza

Patria, madre, addio!
Sempre più in alto
       sempre più in avanti
a piedi nudi tra i sassi

Nei dirupi mi sosterranno i sogni
mi porteranno verso ameni spiazzi
là dove insiste il Sole
e nessun ombra permane

In quella dimensione
nel dipanarsi del silenzio
dove schiaffi di vento
consumano vortici e tempeste
troverò l’afflato
e canterò con l’anima!
Appoggiati a me
       che io senta il tuo peso
avrò forza per due

Le mie mani saranno le tue mani
le mie gambe saranno le tue gambe
i miei i tuoi occhi e la mia voce
dirà dei tuoi pensieri. Appoggiati a me
Il tuo corpo carico di anni
sarà leggero come piuma
Dai solchi profondi tracciati dal tempo
berrò il nettare della tua saggezza.
Laggiù in fondo al viale
       un cane confina il suo regno

Cappellorosso il lampione
appoggio di tarde lucciole
palcoscenico di falene impazzite
al languore della notte la luce porge
Come uno schizzo di Mirò
fardello d’ossa e pena un barbone giace
frammezzo a cicche già consunte
che fremono alla carezza del vento

Un suono d’arpa strugge l’anima
Lievita il giorno, un gallo canta
Immagino il tuo viso e piango
       Ancora t’amo!
Visioni di bimbo
       nel sole che muore rosso
dietro i monti

Occhi che sfavillano dipanando nubi
accarezzando conigli su bighe
trainata d’alati bisonti
Occhi che percorrono il cielo magica tela
sospesa sull’idea di ciò che vedranno
appena al di là di Scilla e Cariddi
e questa terra di Calabria
rigogliosa di fronde
pianeta di uomini miti
ventre ribelle d’ombre di pietra
- anime senza costrutto -
ha ingoiato l’alfa dei suoi sogni.


In memoria di Nicholas Green
Quanto spazio c’era
       sulle tue spalle
e che profumo di bosco fra le braccia

Ho rincorso stagioni tutto scolorendo
E continua a tendere stratagemmi sul prato
e a tergere nebbie il sole
-sempre più freddo per me al mattino-

Nel celeste dei miei i tuoi occhi rivedo
coperti d’addio in un giorno senza tempo
e la tua voce risento calda, che acquieta
perché continuo a destarmi spaurita la notte
e per la tua assenza a struggermi papà.
Terra del sud
       sfiancata nell’attesa di giorni
che più non arrossano vecchi selciati
e scorrevoli strade

Se sciolgo il refe danzano nell’aura i fatui
guerreggiano a parole i cavalieri
dame lanciano fiori ai vinti e innalzano epinici
ai vincitori
Genitrice mia terra bozzolo di tulle
mia culla che bevevi il grigio
e il nero a suffragio porgevi
con schiere di stelle e maneggio di lune
fra gli aghi dei giovani pini
       ora violenta e violentata sei
Il venditore di stelle ha chiuso il botteghino
la luna si è trafitta per l’agonia del sole
e nell’alveo della cabala
la tenzone continua crudele.
Sono giunti per me
       i giorni dell’anima
attesi momenti di quiete
Ascolto musica celeste restando terragna
Mi confonderò nella polvere di questa strada
percorsa dai fremiti perenni della vita

Quanta gente in attesa e quante ambasce
nel chiuso di questo circuito!
È trascorso l’istante
       lentamente scivolando
come farina dal vaglio di coccio

Nello scurire del giorno
qualcuno ha riempito il burrone
levigato la roccia e reso solido il mare
così che io possa
sulle arcate del sole sollevare il cuore
e dalla linea del fronte sicura decollare.